L’EMPATIA DEL MEDICO MIGLIORA L’EFFICACIA TERAPEUTICA.
Un bell’articolo si SaluteH24 che ho il piacere di citare riguardo l’importanza del’empatia e di un maggior rapporto umano da parte della classe medica.
Nella sezione “libri e video” di questo sito potete trovare delle letture di approfondimento su questa tematica come il bellissimo libro del prof. Benedetti dal titolo “La speranza è un farmaco” in cui spiega in modo molto umano oltre che scientifico quanto le parole e il supporto dell’operatore sanitario influenza tantissimo l’efficacia terapeutica.
Queste tematiche sono sempre più materia di approfondimento, sopratutto in eventi ECM organizzati anche recentemente dall’ordine dei medici e chirurghi.
Articolo di SaluteH24. L’empatia riduce ricoveri e migliora cure del 40%. Un rapporto empatico medico-paziente migliora l’aderenza ai trattamenti e diminuisce di quattro volte il rischio di effetti collaterali e ricoveri, con effetti positivi sui camici bianchi stessi. Lo rivelano gli esperti riuniti per il congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI)
Capacità di ascolto, pazienza, comprensione e rispetto dei bisogni dell’altro, un linguaggio semplice e preciso ma che tocchi le corde emotive del paziente.
In una parola, empatia: è questa la nuova “pillola” che ogni medico dovrebbe avere nella sua borsa, per migliorare l’efficacia di qualsiasi terapia, per curare e per curarsi. Un rapporto empatico medico-paziente aumenta infatti fino al 40% l’efficacia delle cure, migliorando l’aderenza ai trattamenti e diminuendo di quattro volte il rischio di effetti collaterali e ricoveri, con effetti positivi sui camici bianchi stessi: l’empatia in ambulatorio, aiutando a costruire un rapporto di maggior fiducia, taglia le denunce per malpractice e riduce il pericolo di sindrome da ‘logoramento in corsia’.
Lo rivelano gli esperti riuniti per il congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI),sottolineando che sono troppo pochi i medici che hanno capito l’importanza dell’empatia: appena il 22% instaura un buon rapporto coi malati, spesso perché non ne ha neppure il tempo visto che una visita dura in media 9 minuti e già dopo 20 secondi di dialogo il paziente viene interrotto.
La buona notizia è che l’empatia si può insegnare attraverso lezioni frontali ed esperienze guidate in corsia: SIMI ha già proposto perciò di inserire nel corso di laurea in medicina e chirurgia un modulo di scienze umane, da seguire durante i sei anni di studio attraverso seminari e didattica teorico-pratica dedicata.
“Pochi pazienti vedono appagato il loro desiderio di dialogo col medico, che spesso è troppo frettoloso o “assente”: in media guarda lo schermo del pc o dello smartphone anziché la persona che ha davanti per i due terzi del già scarso tempo della visita – osserva Gino Roberto Corazza, presidente SIMI – Ascoltare le ragioni e le emozioni del paziente è invece il punto di partenza fondamentale per avere una visione più ampia e circostanziata della patologia e porre una miglior diagnosi, per prescrivere esami e terapie più adeguate che poi saranno seguite con maggior convinzione e attenzione: ognuno di noi ha bisogno di sentirsi accolto nella sua esperienza di malattia, sapere che il medico “ci capisce” innesca meccanismi che favoriscono l’aderenza alla terapia e perfino il miglioramento di parametri biologici”.
Numerosi studi hanno infatti dimostrato che un rapporto empatico medico-paziente rende più efficienti le cure in caso di malattie cardiovascolari, diabete, dolore e riduce lo stress, con effetti positivi sul benessere generale e sulle capacità di recupero. “Oggi sappiamo che le parole curano tanto quanto i farmaci, in moltissime situazioni. Purtroppo la nostra medicina iper-tecnologica sembra allontanare da un rapporto empatico medico-paziente, portandoci verso una de-umanizzazione delle cure – osserva Corazza – Il medico può essere portato a pensare che il suo ruolo si esaurisca nel proporre procedure avanzate e prescrivere trattamenti mirati, ma è vero il contrario: nel mare delle informazioni e delle possibilità offerte dal progresso medico, il malato oggi ha ancora più bisogno di essere guidato dal “suo” dottore. Che peraltro trae indubbi vantaggi da un rapporto più profondo, in cui si sforzi di guardare alle cose con gli occhi del paziente: diversi studi hanno dimostrato che i medici empatici hanno meno denunce per malpractice e sono meno esposti alla sindrome da burnout, l’esaurimento che è un pericolo concreto per circa otto camici bianchi su dieci”.
L’empatia però non è una semplice “emozione”, ma un evento cognitivo che può e deve essere insegnato e acquisito. In Italia la formazione medica è tuttora all’insegna del tecnicismo e della specializzazione: per questo la SIMI ha proposto di inserire nel percorso di laurea in medicina e chirurgia un modulo di scienze umane, da affrontare a più riprese nell’arco dei sei anni – commenta Franco Perticone, presidente eletto Simi – L’obiettivo è approfondire temi come bioetica o psicologia clinica attraverso seminari, didattica teorico-pratica a piccoli gruppi ed esperienze “sul campo” in reparti e ambulatori. Questo potrà insegnare ai futuri medici come ascoltare i malati e recepire i loro segnali di disagio emotivo, per migliorare il rapporto medico-paziente a tutto vantaggio di entrambi”, conclude Perticone.
Blog a cura di Stefano Gay
Fonte dell’articolo del 10/10/2015: Salute h24
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